UN GIORNO DELLA MIA VITA
- Paolo Di Menna
- 15 mar 2019
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 6 mag 2020

Bobby Sands, un eroe contemporaneo, morto per difendere le sue idee, sconosciuto a molti, messo a tacere barbaramente sotto gli occhi colpevoli di quegli Stati che a squarciagola dichiarano di difendere i diritti dell’uomo.
Partiamo dal presupposto che sono un grandissimo amante della cultura del Regno Unito ed in particolar modo dell’Irlanda, la quale reputo come mia seconda casa e non perdo occasione per farci una scappatina.
Leggo libri, consulto siti web e guardo film inerenti questo Stato, ed è proprio così che ho fatto la conoscenza di questo personaggio “scomodo”. Qualche anno fa mi sono imbattuto in un film di un regista balzato agli onori della cronaca per il suo capolavoro “12 anni schiavo” (venuto dopo un altro mostro sacro per me, ovvero “Shame”, ma di questo magari parleremo in un altro post), tale Steve MacQueen, omonimo del famosissimo attore.
MacQueen, prima del film che gli è valsa la candidatura a ben nove premi Oscar portandosene a casa 3 tra cui miglior film e miglior sceneggiatura non originale, aveva creato una piccola perla, rimasta pressoché sconosciuta, “Hunger”, un film racconta in maniera cruda ed estremamente esplicita, i trattamenti disumani riservati ai detenuti dell’IRA (Irish Republican Army, un esercito di volontari in lotta per la liberazione del proprio Paese dal dominio Inglese) nel carcere di Long Kesh.
Una volta finito di guardare la pellicola, sono stato assalito da un sentimento di incredulità mista a rabbia e disgusto, non potevo credere che nella nostra era moderna, in Paesi come Inghilterra ed Irlanda, potessero accadere eventi simili, mi rifiutavo di accettare che tutto il mondo fosse rimasto immobile a guardare, mentre questo orrore si svolgeva indisturbato.
Decisi di documentarmi meglio.
Naturalmente corsi a digitare www.wikipedia.it ed iniziai a navigare. Con mio profondo stupore mi accorsi che tutto ciò era reale, ma non mi bastava, non volevo ancora crederci.
Scoprii che era stato pubblicato un libro dal nome “Un giorno della mia vita” un diario tenuto segretamente da Bobby Sands, durante il suo periodo di prigionia, lo comprai immediatamente.
Man mano che le pagine scorrevano, gli occhi si facevano più lucidi parola dopo parola, e nel cuore cresceva una rabbia primordiale in quanto la realtà era di gran lunga peggiore di quella descritta nel film.
Descrizioni dettagliate di quello che accadeva nel carcere permeavano le pagine: continue e brutali percosse, detenuti costretti a stare nudi in piccole celle anguste senza vetri alle finestre con il riscaldamento spento in inverno ed acceso alla massima potenza in estate, piccoli buglioli in cui espletare i bisogni corporali, che puntualmente non venivano svuotati, pertanto i detenuti erano costretti a spalmare le proprie feci sui muri, cibo rancido ed in quantità misere, perquisizioni corporali degradanti, una sola visita al mese della durata di mezz’ora, e la lista delle atrocità è ancora molto lunga.
Sono passati diversi anni da quando lessi il libro ma tutt’ora il suo ricordo è forte dentro di me ed alcune domande continuano a ronzarmi senza risposta nella testa: Dov’erano gli organismi atti a sorvegliare i diritti fondamentali dell’uomo, dov’era l’America, dov’erano tutti gli altri Stati dell’Unione Europea, come si è potuti arrivare a tanto?
Tornando a Bobby Sands, morì a soli 27 anni nel carcere di Long Kesh a seguito di uno sciopero della fame durato 66 giorni, durante il quale nessuno ha fatto nulla e si è cercato di mettere a tacere questa storia, non sapendo però che Bobby aveva tenuto segretamente un diario su piccoli ritagli di carta e che li aveva fatti uscire grazie alla complicità di sua sorella, a lui sono seguiti altri 9 ragazzi morti a seguito dello sciopero iniziato a scaglioni di due settimane dopo Bobby.
Ma cosa chiedevano di tanto osceno da non potergli essere concesso?
5 semplicissimi punti:
· Diritto di indossare i propri vestiti e non la divisa carceraria (in quanto si ritenevano prigionieri politici)
· Diritto di non svolgere lavoro carcerario
· Diritto di libera associazione durante l’ora d’aria
· Diritto di avere reintegrata la remissione di metà della pena (diritto perso durante le proteste)
· Diritto di ricevere pacchi, posta e visite settimanali
Questo è ciò che ragazzi poco più che ventenni richiedevano ad uno Stato che li opprimeva, e che gli fu sempre negato dall’allora primo ministro Margaret Thatcher.
“Un giorno della mia vita” non è una lettura semplice, è paragonabile ad un pugno nello stomaco, ma è un libro che DEVE essere letto affinché il sacrificio di molte vite umane venga ricordato ed onorato.

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