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IL CHITARRISTA CON L'ARTRITE

  • Immagine del redattore: Paolo Di Menna
    Paolo Di Menna
  • 27 feb 2019
  • Tempo di lettura: 3 min

Fuori dalla finestra il sole va tramontando all'orizzonte, le luci colorate pian piano si accendono donando un'innaturale vivacità a questa cittadina sperduta in un qualche angolo di mondo. Dal vetro sporco di questa stanza all'ottavo piano dell'hotel ho una bella veduta, riesco a scorgere il bar qui di fronte, il quale ha appena acceso la sua insegna al neon ed il cui parcheggio va riempiendosi dei pick-up degli operai che staccando dal lavoro ne approfittano per farsi una birra. Poco più in la c'è la zona residenziale, composta da piccole casette di legno tutte identiche tra loro. A est la ferrovia, lungo la quale vecchi treni merci si alternano ad intervalli pressoché regolari, mentre a nord l'arida distesa polverosa di terriccio, rocce e sterpaglie si spinge fin dove la vista arriva.

Quando mi hanno comunicato il nome del locale e poi della città in cui avrei dovuto esibirmi, non volevo crederci, l'Old Bull di Zzyzx, ma come cazzo è possibile chiamare una città con un nome così assurdo?!

Ad ogni modo eccomi qui, seduto di nuovo nella stanza di un albergo.

Di nuovo da solo.

Paul il mio manager, se così si può definire uno che ti procura squallide serate in altrettanto squallidi posti, mi ha fatto recapitare in stanza una bottiglia di scadente bourbon, quello che trovi sugli scaffali dei supermarket a quattro dollari e novantanove centesimi, quindi ora me ne sto qui, sprofondato nella poltroncina di tessuto marrone a coste piena di macchie incrostate di chissà quali fluidi, bevendo pessimo whisky e tenendo le mani immerse in acqua e ghiaccio. Questa cazzo di artrite mi sta uccidendo, ormai non ricordo più i tempi in cui non provavo dolore, in cui le dita scorrevano veloci e disinvolte lungo il manico in legno d'ebano della mia Gibson.

Fanculo!

Il tempo è una bestia crudele che non guarda in faccia a nessuno, non gliene frega un cazzo se sei un chitarrista, un imbianchino, un calciatore, se ha deciso che vuole le tue mani se le prende e basta. Butto giù un paio di pillole di Vicodin, e le aiuto a scendere con una bella sorsata di bourbon. Ormai gli antidolorifici non mi fanno più niente di niente, ed è forse per questo che negli ultimi tempi ho iniziato ad aumentare anche l'uso della miracolosa polvere bianca che almeno mi tiene la mente ed il corpo leggeri.

All'angolo della stanza distesa nella sua custodia in pelle nera, l'unico vero, grande amore della mia vita, quel pezzo di legno con sei corde attaccate mi ha dato più soddisfazioni di quanto la droga, l'alcol e le donne possano mai regalarmi. Così bella, così silenziosa, sembra guardarmi, sembra quasi che anch'essa soffra per il mio dolore, come se sapesse che a breve non sarò più in grado di far scorrere le mie dita sul suo corpo sinuoso. Penso che semmai questa cazzo di artrite dovesse privarmi della possibilità di abbracciarla, beh allora la mia vita non avrebbe più ragione di continuare.

Asciugandomi le mani provo una fitta di dolore che mi risale lungo le braccia fino ad arrivare ai gomiti, apro e chiudo le dita con movimenti lenti, per cercare di sbloccare le falangi.

Mi accendo una sigaretta e mi avvicino alla chitarra, tirandola fuori noto che la corda del Mi cantino è messa maluccia, così decido di cambiarla, voglio che la mia pupa sia in forma smagliante stasera.

Ad operazione conclusa accendo un'altra sigaretta e mi siedo di nuovo davanti alla finestra, il fumo azzurrino sale soave verso il soffitto, prima di dissolversi come uno spettro.

Ho quasi finito il whisky ed il mio corpo, le mie mani, la mia mente cominciano ad intorpidirsi, il dolore si fa più tenue, ancora una volta l'alcol ha oliato per bene le mie vecchie giunture. Per alleviare ancora di più le sofferenze del corpo e della mente apro la mia croce d'argento appesa al petto e tiro su un po' di polvere, mi pulisco la narice e poi ripeto di nuovo il gesto.

Il telefono della stanza squilla, dall'altro capo del ricevitore la voce di Paul mi dice che sta aspettando all'ingresso. Ripongo la chitarra nella sua soffice dimora, mi infilo la camicia ed indosso i miei anelli mentre osservo la mia figura rattrappita riflessa nello specchio dell'armadio.

Finisco il Whisky con una bella sorsata dal collo della bottiglia.

Afferro la mia amichetta ed esco dalla stanza buia.

Il mio pubblico mi aspetta.

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